Tribunale Unificato brevetti – Brevetto Europeo con effetto unitario

Entro il 2022, al fine di rafforzare la proprietà industriale a livello europeo e calmierare i relativi costi per le imprese (soprattutto per le PMI), entrerà in vigore il Protocollo di applicazione provvisoria dell’accordo internazionale sul Tribunale Unificato dei Brevetti (TUB).Tale fase è propedeutica all’attuazione del “Brevetto Europeo con effetto unitario”, che verrà rilasciato dall’EPO (Ufficio Europeo dei Brevetti, con sede a Monaco di Baviera) e che permetterà al titolare del brevetto di ottenere, attraverso il pagamento di un’unica tassa di rinnovo, la protezione brevettuale nei 25 Paesi dell’UE aderenti all’inziativa. Durante il periodo transitorio (sunrise period di tre mesi), prima che l’attività del Tribunale Unificato Brevetti abbia inizio (e poi per i successivi 7 anni, prolungabile di ulteriori 7 anni), il nuovo Tribunale non avrà giurisdizione esclusiva, ma concorrente con i singoli Tribunali nazionali, a condizione che i brevetti non siano già oggetto di procedimenti instaurati presso il Tribunale Unificato. Decorso il periodo transitorio, il Tribunale Unificato conserverà giurisdizione esclusiva non solo per tutte le controversie in materia di validità e contraffazione dei nuovi brevetti europei ad Effetto unitario, ma anche per tutti i brevetti europei “classici” (insieme di brevetti nazionali). Dal suo rilascio, ogni brevetto europeo ad effetto unitario spiegherà automaticamente i suoi effetti nei confronti di tutti gli Stati membri che avranno ratificato l’Accordo, senza alcuna necessità di ulteriore convalida nei singoli Paesi, ciò comporterà un considerevole risparmio di tempi e costi. Parimenti, le decisioni del Tribunale Unificato avranno effetto in tutti gli Stati contraenti. Per le piccole imprese, le tariffe relative ai procedimenti davanti al Tribunale Unificato saranno ridotte del 40%. I giudizi, che termineranno entro un anno dall’instaurazione del procedimento con una sentenza di merito (di primo grado), saranno improntati alle regole di procedura del sistema tedesco e saranno molto diverse da quelle che vigono nel sistema italiano.

Beni destinati all’esercizio dell’impresa di un coniuge 

L’art. 178 del codice civile disciplina il regime dei beni appartenenti ai coniugi che non entrano immediatamente nella comunione legale (art. 177), ma che rimangono personali del coniuge imprenditore e rientrano nella comunione solo al suo scioglimento (separazione, divorzio, mutamento del regime patrimoniale in separazione dei beni).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 15889, emessa il 17 maggio 2022, hanno risolto una questione particolarmente spinosa che, dal 1975, data di emanazione della legge di riforma del diritto di famiglia, aveva creato forti dibattiti, sia in dottrina che in giurisprudenza, senza trovare alcuna risoluzione definitiva, ossia la determinazione della natura giuridica della c.d. “comunione del residuo”. 

Con la sentenza n. 15889 del 2022 le Sezioni Unite, dunque, enunciano quanto segue:
Ad avviso della Corte la questione […] deve quindi essere decisa optando per la tesi della natura creditizia del diritto nascente dalla comunione de residuo, riconoscendo un diritto di compartecipazione sul piano appunto creditizio, pari alla metà dell’ammontare del denaro o dei frutti oggetto di comunione de residuo, ovvero del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, al netto delle passività.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data“.

Le Sezioni Unite qualificano definitivamente la comunione de residuo alla stregua di un diritto di credito del coniuge non imprenditore. Quanto ai beni di cui all’art. 178 c.c., viene negata l’esistenza di una comunione effettiva e reale tra i coniugi e ciò preclude al coniuge non imprenditore non solo la possibilità di poter effettuare prelievi sul corrente bancario, intestato – in regime di comunione legale dei beni – soltanto ad uno dei coniugi, e nel quale siano affluiti i proventi dell’attività separata svolta dallo stesso, ma anche la pretesa di ottenere la cointestazione, in ragione della quota del 50%, di tutti i beni destinati post nuptias all’esercizio dell’impresa del coniuge imprenditore (tra cui beni mobili registrati e beni immobili).

Il coniuge non imprenditore, quindi, allo scioglimento della comunione legale, avrà diritto a richiedere unicamente un importo pari al 50% del valore dell’azienda del coniuge imprenditore.  Precisa, inoltre, la predetta sentenza che il credito in esame,  di natura obbligatoria, implica come conseguenza il rischio, da parte del coniuge non imprenditore, di poter subire il concorso con i creditori, anche successivi, dell’altro coniuge, non potendosi attribuire a tale credito un carattere privilegiato, al di fuori delle ipotesi tassative previste per legge.

 

Condominio: Superbonus

Spesa per visto di conformità oggetto di sconto in fattura – visto di conformità escluso per gli interventi in edilizia libera (o inferiori a 10.000,00€)

La risposta n. 243 del 4 maggio 2022, fornita dall’Agenzia delle Entrate in tema di Superbonus, chiarisce che si applica lo “sconto in fattura” anche al compenso per il rilascio del visto di conformità pattuito con i clienti (sia persone fisiche che condomìni), necessario all’esercizio delle opzioni relative alle detrazioni spettanti per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica o restauro della facciata degli edifici.
L’Agenzia delle Entrate determina, inoltre, i limiti per l’applicabilità dello sconto in fattura a tale onere finanziario, chiarendo che la spesa per l’apposizione del visto di conformità concorre al limite di spesa massimo ammesso alla detrazione da parte del contribuente per ciascun intervento agevolato.
Per cui, a seguito dell’opzione esercitata dal cliente, il professionista acconsente che l’adempimento – totale o parziale – dell’obbligazione (ossia il pagamento della fattura), avvenga mediante la cessione di un credito corrispondente alla detrazione spettante al committente, che può essere utilizzato in compensazione ovvero essere oggetto, a determinate condizioni, di cessione ad altri soggetti.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate specifica che rientri tra i compensi connessi alla prestazione professionale anche l’eventuale corrispettivo pattuito con il cliente per “l’attualizzazione del credito ricevuto”.
Il recupero fiscale relativo allo sconto in fattura avverrà in un arco temporale di alcuni anni, salvo la possibilità di cedere ulteriormente il credito così maturato a terzi, sostenendo ovviamente, nel caso di detrazioni spettanti nella misura del 65% o del 50%, un aggravio finanziario pari all’attualizzazione del credito da parte dell’acquirente dello stesso.
Tuttavia, non tutti gli interventi edilizi sono assoggettati all’obbligo di rilascio del visto di conformità.
Infatti, la legge di Bilancio 2022, che ha confermato i bonus edilizi già attivi nel 2021, nel caso dei bonus fiscali sotto forma di sconto in fattura o cessione del credito riconosciuti per interventi e lavori di natura edilizia, ha confermato l’esonero relativo alla produzione e presentazione dell’attestato di congruità delle spese e il visto di conformità, ma solo per alcuni lavori.
Il comma 29 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2022 ha escluso gli interventi classificati in edilizia libera (e gli interventi di importo inferiore ai 10 mila euro) dall’obbligo di visto di conformità e di asseverazione tecnica, ovvero dai paletti introdotti dall’ex DL antifrode, poi trasfuso all’interno della Legge di Bilancio.

 

Diritto delle successioni – Caso pratico

Sent. Trib. Terni – Giudice Palmieri – Ordinanza di incompetenza del 06/07/2020 – RG n. 1713/2019

Divisione giudiziale dei beni ereditari – competenza Tribunale del luogo di apertura della successione ex art 456 c.c. – decesso del de cuius nel luogo deputato al domicilio sanitario temporaneo – domicilio temporaneo per assistenza sanitaria del de cuius diverso dal domicilio ex art. 43 codice civile – domicilio sanitario parificato alla dimora e non al domicilio ex art 43 c.c. – eccezione tempestiva del difetto di competenza territoriale del giudice adito in favore del Tribunale territorialmente competente ai sensi del combinato disposto degli artt. 22 c.p.c. e 456 c.c. – dichiarazione di incompetenza del Tribunale adito del circondario in cui era sito il domicilio sanitario del de cuius a favore del Tribunale del luogo in cui era ancora fissato l’ultimo domicilio del de cuius.

La fattispecie:

  • in data 15/06/2006 il Sig. XXXX decedeva in Calvi dell’Umbria (TR), ove si trovava presso l’abitazione della figlia per ragioni di cura dal 05/11/2005;
  • la Sig.ra XXXX, figlia del de cuius, in relazione ai beni immobili ereditati dal padre, incardinava nei confronti del fratello, Sig. XXXX, procedimento di divisione giudiziale presso il Tribunale di Terni, allegando il certificato di morte del proprio padre, deceduto in Calvi dell’Umbria (TR), Comune posto nel circondario del Tribunale di Terni;
  • parte convenuta eccepiva tempestivamente il difetto di competenza territoriale del giudice adito in favore del Tribunale di Rieti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 22 c.p.c. e 456 c.c., che individuano la competenza con riferimento al luogo in cui il de cuius aveva al momento della morte l’ultimo domicilio;
  • il Giudice, con ordinanza del 06/07/2020, facendo riferimento la giurisprudenza di legittimità evidenziava come “La determinazione della competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita ai sensi degli artt. 22 cod. proc. civ. e 456 cod. civ., con riferimento al luogo in cui il “de cuius” aveva al momento della morte l’ultimo domicilio, intendendosi con tale locuzione il luogo ove la persona concentra la generalità dei suoi interessi sia materiali ed economici, sia morali, sociali e familiari, prescindendosi dalla dimora o dalla presenza effettiva del medesimo in detto luogo” (così Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 18560 del 02/08/2013), e, all’esito del deposito delle memorie 183, co. 6, c.p.c., dichiarava che i documenti prodotti dalla parte attrice per dimostrare che il padre avesse collocato il proprio ultimo domicilio in Calvi dell’Umbria non fossero “[…] idonei a provare che il de cuius avesse stabilito il proprio domicilio in Calvi dell’Umbria, risultando piuttosto che lo stesso si trovasse presso la figlia esclusivamente per ragioni di cura e salute della persona, e ciò anche in considerazione del breve lasso di tempo intercorso tra il collocamento presso la nuova abitazione (secondo i documenti prodotti 5.11.2005) ed il decesso verificatosi in data 15 maggio 2006:
  • che conseguentemente lo stesso, anche alla luce della copiosa documentazione di segno opposto prodotta da parte convenuta, abbia mantenuto in […] non solo la propria residenza ma anche il domicilio, nell’accezione più sopra specificata, avendo collocato in Calvi dell’Umbria esclusivamente la propria dimora” […]

P.Q.M.

Dichiara l’incompetenza per territorio del Tribunale di Terni, essendo competente per la trattazione della causa il Tribunale di Rieti;

condanna parte attrice al pagamento in favore di parte convenuta delle spese di lite […]

 

In virtù dell’Ordinanza del Tribunale di Terni, di cui si è riportato solo l’estratto che qui ci interessa, il Giudice ha operato una netta differenziazione tra domicilio c.d. sanitario, ossia il luogo in cui un soggetto si reca, o è costretto a recarsi e a trascorrere del tempo, per completare un ciclo, più o meno lungo, di cure, e domicilio giuridicamente rilevante ai sensi dell’art. 43 codice civile, ossia il centro di imputazione di interessi di una persona che ne determina anche il luogo in cui deve ricollegarsi, in caso di decesso, l’apertura della successione, con tutte le conseguenze giuridico-economiche che ne scaturiscono.

In primis, l’ultimo domicilio del defunto determina la competenza del Tribunale in caso di giudizi afferenti la divisione giudiziale dei beni ereditari, ma il luogo in cui debbono essere depositate la dichiarazione di successione ed effettuato il pagamento delle tasse ereditarie.

Il domicilio, come giuridicamente contemplato, ai sensi dell’art. 43 c.c., deve risultare dalla documentazione che riguarda il defunto e che spazia dal luogo della filiale in cui è stato acceso il conto corrente principalmente utilizzato dal de cuius, alle utenze intestate al defunto, al luogo in cui il defunto riceveva le comunicazioni postali rilevanti, nonché da tutta la documentazione che possa risultare utile a dimostrare che il domicilio effettivo, ai sensi dell’art 43 c.c., sia da rinvenire in un determinato Comune, di solito corrispondente al Comune in cui il soggetto ha la propria residenza (certificato storico di residenza), ma potrebbe anche non corrispondere con il luogo di residenza, tutto ciò prescindendosi dalla dimora o dalla presenza effettiva del de cuius in un certo luogo, come sostenuto anche dalla Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza 02.08.2013, n. 18560. Il luogo in cui si apre la successione, infatti, può non coincidere con quello in cui è avvenuta la morte.

Il luogo dell’ultimo domicilio del defunto, pertanto, non deve essere confuso con il luogo in cui avviene il decesso: per domicilio si intende il luogo in cui la persona aveva concentrato la generalità dei suoi interessi economici, morali, sociali e familiari.

La successione, ai sensi dell’art 456 c.c., si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto, luogo in cui si eseguono le prime formalità e si compiono gli atti di accettazione dell’eredità.

Nel caso affrontato dall’ordinanza in esame il domicilio sanitario, luogo in cui è deceduto il de cuius, non è stato reputato corrispondente con il domicilio di cui ai sensi dell’art. 43 c.c., ma è stato parificato alla dimora temporanea, che non comporta alcun effetto giuridicamente rilevante in materia successoria.

Condominio – Spese condominiali attribuibili al conduttore

Il contratto di locazione ad uso abitativo è disciplinato sia dal codice civile (artt. 1571 ss.) che dalla legge sulle locazioni degli immobili urbani (Legge 392/78).

Le disposizioni legislative disciplinano l’attribuzione delle spese relative all’unità immobiliare locata, mentre non si soffermano sulla speciale categoria delle spese condominiali, che tuttavia dovrebbero essere puntualmente regolate nel contratto di locazione, al fine di evitare spiacevoli e dispendiosi procedimenti giudiziali tra locatore e conduttore, in caso di contestazioni.

In estrema sintesi, restano a carico dell’inquilino tutte quelle spese relative alla gestione degli spazi condivisi, definite altresì come costi ordinari, salvo accordi diversi in fase di firma del contratto di locazione.

Per prevenire eventuali conflitti tra locatore e conduttore (fine antiprocessuale), nonché al fine di evitare che l’unità immobiliare locata rimanga bloccata nelle spire di eventuali giudizi pendenti tra le parti e non possa continuare ad apportare al locatore il rendimento per il quale era stata acquistata (R.O.I. – Return On Investment), nonché al fine di poterla smobilizzare in tempi congrui, in sede di stipula del contratto di locazione dovranno essere elaborate in dettaglio tutte le clausole relative alla suddivisione delle spese tra locatore e conduttore, nonché tutte le clausole che disciplinano il rapporto contrattuale, adattando il contenuto del contratto ad ogni singola fattispecie, alla stregua di un abito sartoriale su misura, evitando di affidarsi a moduli e fac simili standardizzati che, come tali, non possono tenere conto delle peculiarità dell’unità immobiliare da concedere in locazione, dell’edificio di cui la stessa unità immobiliare fa parte e delle circostanze che attengono alla persona del conduttore (da scegliere in seguito ad accurate indagini sul merito creditizio di quest’ultimo e sui garanti del medesimo).

 Con riguardo alle spese condominiali, l’unica persona responsabile nei confronti del condominio resta, comunque, sempre il proprietario, perseguibile legalmente in caso di mancato pagamento dell’affittuario.

Spese condominiali:

  1. A) Sono a carico dell’inquilino:

         spese relative alla pulizia delle parti e dei beni comuni,

         spese relative all’ordinaria manutenzione dell’ascensore;

         spese dell’energia elettrica, dell’acqua;

         spese del riscaldamento (centralizzato);

         spese del condizionamento dell’aria (centralizzato);

         spese relative allo spurgo delle colonne condominiali e dei pozzetti condominiali;

         spese di fornitura di altri servizi comuni (ad es giardinaggio; manutenzione ordinaria impianti condominiali; gestione sale condominiali);

         spese relative al servizio di portineria, nella misura del 90%.

  1. B) sono a carico del locatore:

         tutte le spese di straordinaria manutenzione dell’edificio, comprese quelle di straordinaria manutenzione dell’ascensore;

         le spese relative al compenso dell’amministratore di condominio. (La Cassazione ha stabilito che il compenso dell’amministratore non rientra per funzione, tra gli oneri accessori che la normativa locatizia pone a carico del conduttore, la cui elencazione viene considerata tassativa. Quindi, il relativo pagamento spetta al proprietario dell’immobile locato).

Per semplificare l’opera degli interpreti e arginare l’ampio contenzioso formatosi negli anni, sono state emanate delle specifiche tabelle che hanno regolamentato nello specifico chi, tra conduttore e locatore, debba farsi carico di una certa spesa.

La tabella maggiormente utilizzata negli ultimi anni è quella registrata il 30 aprile 2014 e concordata tra Confedilizia e SUNIA-SICET-UNIAT. Più di recente, ad essa si è affiancata la tabella di ripartizione degli oneri allegata al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 16 gennaio 2017 che ne ricalca sostanzialmente il contenuto.

Immobiliare – Locazione di immobili urbani

CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, 13 GENNAIO 2022, N. 927 – PRES. DE CHIARA, REL. SCARPA

Opposizione a decreto ingiuntivo promossa erroneamente con atto di citazione:

  • non opera mutamento del rito
  • non si applica art. 4, D.Lgs.- 150/2011
  • si applica l’art. 3, L. 742/1969

 Natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo:

  • fase ulteriore (eventuale) del procedimento iniziato con il ricordo per d.i.

PRINCIPIO DI DIRITTO: “Allorché l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., sia erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 – che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo decreto legislativo n. 150/2011 – producendo l’atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c.

Nel caso in cui l’opposizione al decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta a rito speciale, sia per errore proposta per citazione anziché per ricorso, non scatta la disciplina di mutazione del rito.

Nella stessa pronuncia, la Corte di Cassazione afferma, sula scorta della costante giurisprudenza di legittimità in materia, che l’art. 3, L. n. 742/1969 (Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale) è applicabile alle controversie in materia di locazione ai sensi dell’art 447-bis c.p.c.

Gli Ermellini si soffermano anche sulla natura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo,  negando che esso dia vita ad un giudizio di impugnazione e assumono “stabilzzato” in giurisprudenza quanto affermato dalle SS.UU. in data 07/07/1993 con sentenza n. 7448: “l’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. non è un’actio nullitatis o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio”, non quale “giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.

Per accedere al testo integrale della sentenza SS.UU. n. 927 del 13/01/2022 cliccare sul link che segue

https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/927_01_2022_no-index.pdf

Societario

Natura giuridica della fusione per incorporazione tra società: natura estintivo-successoria (vengono allineati quindi gli istituti di fusione e scissione sul piano estintivo-traslativo), secondo la nuova pronuncia delle Sezioni Unite, che si contrappone al precedente orientamento giurisprudenziale in materia, in base al quale  la fusione per incorporazione veniva considerata un’operazione avente natura modificativa, in particolare la precedente giurisprudenza identificava la fusione in una particolare fattispecie di modificazione dell’atto costitutivo.

Le Sezioni Unite, con la sentenza del 30/07/2021, confermano l’effetto estintivo-traslativo della fusione per incorporazione, che realizzerebbe una successione a titolo universale corrispondente ad una successione mortis causa e produrrebbe effetti tra loro indipendenti, tra i quali l’impossibilità per la società incorporata di iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore.

La Cassazione, ad ulteriore sostegno della tesi estintivo-successoria si ricollega alla normativa comunitaria, e precisamente alla Dir. 2017/1132/UE, artt. 89, 90, 105 e 109, che definiscono “fusione per incorporazione” le operazioni con cui una o più società, mediante lo scioglimento senza liquidazione, trasferiscono all’altra l’intero patrimonio (art. 89), trasferiscono a una società che esse costituiscono l’intero patrimonio attivo e passivo mediante l’attribuzione ai loro azionisti di azioni della nuova società (art. 90), dispongono che “la società incorporata si estingue” (art. 105), e, in caso di fusione mediante costituzione di una nuova società, prevedono che le società partecipanti all’operazione “si estinguono” (art. 109).

 

Conseguenze sul piano pratico della teoria sostenuta dalle Sezioni Unite con la sentenza del 30/07/21:

  • nel caso in cui la società incorporata o fusa sia proprietaria di beni immobili, assoggettabilità della società risultante dalla fusione alle formalità urbanistiche (ad es. L. 28 febbraio 1985 n. 47, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), agli adempimenti in materia di attestazione energetica (D.Lgs. 19 agosto 2005 n. 192) e in materia di sicurezza degli impianti all’interno degli edifici (D.M. 22 gennaio 2008 n. 37);
  • assoggettabilità al fallimento della società incorporata o fusa: ai sensi dell’art. 10 L. Fall. possono fallire entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese; non viene pertanto coinvolta la società risultante dalla fusione, nel caso in cui sia trascorso più di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese della società fusa o incorporata;
  • interruzione del processo: in merito a tale effetto il legislatore con l’art. 2504-bisc. ha disposto la prosecuzione del processo con la società risultante dalla fusione, al fine di impedire l’effetto interruttivo del processo (che invece si produce nel caso di morte di una persona fisica), attesa l’esigenza di ragionevole durata del processo e l’assenza della lesione di interessi di qualsiasi parte.

 

Con la teoria modificativa, invece, l’imputazione alla società incorporante dei rapporti giuridici facenti capo alle società fuse o a quella incorporata veniva qualificata come una mera conseguenza della modifica strutturale della società, alla stregua di una deliberazione di trasformazione o di un cambio di denominazione, e ciò comportava, per le società che detenessero immobili, la non assoggettabilità alle formalità urbanistiche (ad es. L. 28 febbraio 1985 n. 47, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), così come la non assoggettabilità agli adempimenti in materia di attestazione energetica (D.Lgs. 19 agosto 2005 n. 192) o in materia di sicurezza degli impianti all’interno degli edifici (D.M. 22 gennaio 2008 n. 37).

Quanto alle procedure concorsuali, la società risultante dalla fusione, costituendo una continuazione soggettiva della società fusa o incorporata, implicava l’assoggettabilità alle procedure concorsuali della società risultante dalla fusione, indipendentemente dal tempo trascorso dalla “cancellazione” dal registro delle imprese della società incorporata o fusa.

 

 

Quanto alle volture catastali degli immobili della società incorporata o fusa, l’art. 1, co. 276, L. 24 dicembre 2007 n. 244 prescrive che sono soggetti all’obbligo della voltura catastale gli atti soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese, che comportino qualsiasi mutamento nell’intestazione catastale dei beni immobili di cui siano titolari persone giuridiche, anche se non direttamente conseguenti a modifica, costituzione o trasferimento di diritti reali.