Beni destinati all’esercizio dell’impresa di un coniuge 

L’art. 178 del codice civile disciplina il regime dei beni appartenenti ai coniugi che non entrano immediatamente nella comunione legale (art. 177), ma che rimangono personali del coniuge imprenditore e rientrano nella comunione solo al suo scioglimento (separazione, divorzio, mutamento del regime patrimoniale in separazione dei beni).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 15889, emessa il 17 maggio 2022, hanno risolto una questione particolarmente spinosa che, dal 1975, data di emanazione della legge di riforma del diritto di famiglia, aveva creato forti dibattiti, sia in dottrina che in giurisprudenza, senza trovare alcuna risoluzione definitiva, ossia la determinazione della natura giuridica della c.d. “comunione del residuo”. 

Con la sentenza n. 15889 del 2022 le Sezioni Unite, dunque, enunciano quanto segue:
Ad avviso della Corte la questione […] deve quindi essere decisa optando per la tesi della natura creditizia del diritto nascente dalla comunione de residuo, riconoscendo un diritto di compartecipazione sul piano appunto creditizio, pari alla metà dell’ammontare del denaro o dei frutti oggetto di comunione de residuo, ovvero del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, al netto delle passività.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data“.

Le Sezioni Unite qualificano definitivamente la comunione de residuo alla stregua di un diritto di credito del coniuge non imprenditore. Quanto ai beni di cui all’art. 178 c.c., viene negata l’esistenza di una comunione effettiva e reale tra i coniugi e ciò preclude al coniuge non imprenditore non solo la possibilità di poter effettuare prelievi sul corrente bancario, intestato – in regime di comunione legale dei beni – soltanto ad uno dei coniugi, e nel quale siano affluiti i proventi dell’attività separata svolta dallo stesso, ma anche la pretesa di ottenere la cointestazione, in ragione della quota del 50%, di tutti i beni destinati post nuptias all’esercizio dell’impresa del coniuge imprenditore (tra cui beni mobili registrati e beni immobili).

Il coniuge non imprenditore, quindi, allo scioglimento della comunione legale, avrà diritto a richiedere unicamente un importo pari al 50% del valore dell’azienda del coniuge imprenditore.  Precisa, inoltre, la predetta sentenza che il credito in esame,  di natura obbligatoria, implica come conseguenza il rischio, da parte del coniuge non imprenditore, di poter subire il concorso con i creditori, anche successivi, dell’altro coniuge, non potendosi attribuire a tale credito un carattere privilegiato, al di fuori delle ipotesi tassative previste per legge.